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Si può fare impresa “verde”? Ha senso investire in territori destinati allo spopolamento? Turismo e agricoltura possono risollevare le sorti – economiche e sociali – di intere comunità? Secondo noi sì: e adesso ci sono anche 250 pagine a raccontarlo.


Di turismo e agroalimentare – e del fenomeno startup che gravita intorno a questi settori – ci occupiamo da tempo ormai. Recentemente una nuova passione serpeggia tra i nostri uffici: rivitalizzare territori dalle grande potenzialità, ma chissà perché dimenticati e sull’orlo dell’abbandono. Un interesse nato collaborando a ReStartApp, il campus residenziale organizzato dalla Fondazione Garrone per “coltivare” idee d’impresa da sviluppare sul territorio appenninico.

Una doverosa premessa per giustificare l’interesse con cui abbiamo letto il recente Rapporto su “L’economia reale nei Parchi nazionali e nelle aree naturali protette“, elaborato nell’ambito delle attività previste dalla Convenzione stipulata tra il Ministero dell’Ambiente e Unioncamere in tema di conservazione della biodiversità e sviluppo di economia sostenibile nelle aree protette.

Si tratta di una poderosa analisi (oltre 250 pagine di dati, tabelle e approfondimenti) che prova a fotografare lo stato di salute di quest’importante fetta di territorio italiano (506 comuni – circa il 6,3% degli 8.092 comuni italiani esistenti al 31 dicembre 2013 – e quasi 15.000 Kmq di superficie – circa il 5% dell’estensione del nostro Paese), cercando di mettere a fuoco il contributo che le attività imprenditoriali nate e cresciute nei Parchi forniscono all’economia nazionale.

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Parco giovani

Uno degli elementi che salta agli occhi fra i numerosi dati del rapporto è la propensione dei giovani under 35 a trasferirsi (o spesso a tornare) nei comuni inseriti nelle aree protette: si tratta di un’inversione di tendenza quasi epocale, dal momento che i territori dei Parchi soffrono da tempo di spopolamento.

E più interessante ancora è il fatto che i giovani vedono nei parchi e nelle aree protette un luogo in cui impiantare nuove attività imprenditoriali: il tutto si traduce in una densità imprenditoriale di 9,7 imprese ogni 100 abitanti, inferiore sì ma di molto poco rispetto al 10,2 della media nazionale con molti parchi capaci di andare oltre questa soglia (Cinque Terre, Monti Sibillini, Abruzzo Lazio e Molise tanto per citare tre realtà del Nord, del Centro e del Mezzogiorno).

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Economia (al) verde

Considerando la natura dei Parchi – aree montane, molto spesso, ma in generale aree “verdi” – è inevitabile come l’economia di questi territori sia fondamentalmente basata sul settore primario, che assorbe il 22,5% delle imprese dei Parchi Nazionali (a fronte del 13,4% della media nazionale) e verso quello dell’alloggio e della ristorazione (10,9%, contro 6,6%).

Ma come è possibile mettere a confronto il “valore” dell’economia verde con quella italiana più in generale? Certo non basandosi su statistiche complessive dell’economia: per questa ragione il rapporto mette a confronto il complesso delle aree ricadenti nei parchi nazionali e un raggruppamento di comuni a modesta presenza naturalistica – ma con caratteristiche economiche e localizzative simili a quelle delle aree naturali protette – per verificare il valore aggiunto pro-capite, ovvero un “effetto parco” in termini di capacità di generare valore da parte delle imprese.

È stato così creato un elenco di comuni “not natural capital based” omogeneo con quelli dei
parchi nazionali – definiti come comuni “natural capital based”: in termini di valore aggiunto pro-capite, se la differenza fra comuni ricadenti nelle aree dei parchi nazionali e la media italiana è di quasi 8.000 euro a favore di quest’ultimo insieme, la forbice si restringe a circa 1.800 euro se confrontiamo i due gruppi sopra definiti.

Una differenza che si viene peraltro a creare essenzialmente a causa delle performance modeste delle aree naturali del nostro Mezzogiorno, che presentano un differenziale negativo di oltre 2.300 euro, a fronte invece di valori nettamente positivi per quanto riguarda il Nord-Ovest (dove i comuni natural capital based dei parchi nazionali valgono quasi 19.500 euro di valore aggiunto pro-capite, a fronte dei 13.500 euro dell’altro raggruppamento).

Dall’Appennino un caso esemplare

Insomma: l’economia “verde” funziona, anche se sia per il settore agricolo sia per quello turistico ancora molto c’è da fare per renderlo realmente un motore dell’economia italiana. Magari traendo qualche soluzione dalle “buone pratiche” che il rapporto mette in luce nei diversi Parchi italiani.

Tra i buoni esempi di imprese “verdi” merita una segnalazione d’onore la cooperativa “I Briganti di Cerreto”, caso di studio a livello europeo recentemente inserita dalla UE, unica esperienza italiana, nelle venti buone pratiche del settore turistico che si sono distinte per innovazione e competitività.

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La storia di Cerreto Alpi, in provincia di Reggio Emilia, non è dissimile da quella di molti altri centri montani (siamo nell’Appennino Tosco-Emiliano): spopolamento quasi inarrestabile, economia in picchiata, una comunità destinata all’estinzione.

Da 1.000 abitanti ad appena 80: alla fine degli anni Novanta, quando anche l’ultimo bar è stato chiuso e l’intera popolazione stava per scivolare a valle per cercare nuove opportunità di lavoro, alcuni abitanti, che non volevano rassegnarsi a veder morire il luogo in cui era nati, hanno preso in mano le sorti del paese. Con un budget iniziale di 1.600 euro – 100 euro a testa – 16 persone, per lo più giovani e tutti originari del luogo, hanno costituito la cooperativa, con l’obiettivo di creare nuove possibilità di occupazione, valorizzando tutte le potenzialità della montagna, facendola “vivere” e sviluppare nel pieno rispetto della natura.

Inizialmente la cooperativa ha investito sull’offerta di servizi ambientali e di manutenzione del territorio: taglio del legname da ardere e da lavoro; recupero, pulizia e manutenzione dei castagneti; apertura di sentieri; sgombero della neve. In un secondo momento i “Briganti” hanno deciso di puntare sul turismo eco-sostenibile, mettendo in moto una serie di attività che hanno dato nuovo slancio all’economia del paese: è stato costruito un Rifugio, punto di riferimento per l’escursionismo estivo ed invernale della Val di Secchia, che propone attività come il trekking, il nordic walking, le passeggiate a cavallo, le escursioni in mountain bike e quelle con le ciaspole, oltre ad offrire la possibilità di assaggiare la cucina tipica, grazie al ristorante. Tra i vari progetti, c’è anche il recupero, finanziato dal Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, di un antico mulino in pietra d’arenaria, che oggi offre 9 posti letto.

Si è affermato così il turismo di comunità, che rappresenta la vera innovazione dell’esperienza di Cerreto. È un modello di offerta turistica integrata, gestito non da un singolo operatore, ma dall’intera comunità locale: in quest’ottica il turista diventa un “abitante provvisorio” del borgo, vive un’esperienza autentica, basata sull’incontro e la conoscenza dei residenti. Una formula che sta avendo molto successo, come dimostrano i mille pernottamenti registrati nel 2012 e confermati nel 2013, che sono un grande risultato per una piccola realtà come questa frazione.

La replicabilità è uno degli elementi di forza dell’esperienza di Cerreto, sempre più studiata a livello italiano e internazionale e che ha fatto scuola: la cooperativa della Valle dei Cavalieri a Succiso, l’associazione Vivere Sologno, la cooperativa di Civago sono solo alcuni degli esempi di turismo di comunità che stanno ridando vita e anima ad alcuni dei borghi più belli della montagna italiana, creando posti di lavoro.

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