Il turismo slow tra opportunità di sviluppo e conservazione dell’ambiente naturale

 

La montagna è spesso protagonista dei nostri lavori. C’è la montagna “giovane” di ReStartApp e ReStartAlp, c’è la montagna “istituzionale” del Gal della Valle d’Aosta e, ora, c’è la montagna “slow” delle strutture ricettive che stiamo aiutando a promuoversi all’estero.

Riteniamo infatti che cercare di attrarre il turista internazionale sia importante per diverse ragioni. In primo luogo perché all’estero, e pensiamo in particolare ai Paesi del Nord Europa e alla Germania, l’abitudine al turismo slow, che di fatto è quello che vogliamo intercettare, è maggiormente diffusa e radicata. Inoltre, il turista interessato a prodotto “natura” ha, mediamente, un livello culturale medio-alto, una buona capacità di spesa e una permanenza media sul nostro territorio più lunga.

Considerazioni che di fatto possono applicarsi a molte aree montane nelle quali però, stando ai dati del 13° rapporto Ecotur sul turismo natura, la proporzione fra turisti internazionali e nazionali è ancora sbilanciata in favore di questi ultimi.

Su questo tema e, più in generale, sulle opportunità di sviluppo delle aree montane abbiamo voluto sentire l’autorevole opinione di Enrico Camanni, giornalista, scrittore – è prevista per il 21 luglio l’uscita con La Stampa del suo ultimo libro “Storia delle Alpi” – storico dell’alpinismo. Nel 2014 l’associazione di cui è vicepresidente, Dislivelli, ha avviato il progetto Sweet Mountains, con l’obiettivo, da noi pienamente condiviso, di diffondere sulle nostre Alpi un turismo sweet e slow.

Il turismo sulle Alpi italiane, come si sta evolvendo questo fenomeno?

Ci sono in questo momento due tendenze. La prima è quella vecchia, tradizionale che si identifica con il turismo di massa. È quella che prevede grandi impianti, grandi strutture al servizio del turismo della neve. È un turismo che si concentra nel periodo invernale, d’estate ci si aggiusta. Per poter competere con le altre destinazioni internazionali l’offerta deve essere sempre più spettacolare, più imponente in una rincorsa continua il cui impatto ambientale, ma anche economico, è evidente. Il ritorno non è scontato: il cambiamento climatico incide fortemente sulla resa di questo turismo, dal futuro sempre più incerto, che vuole la neve a tutti i costi.

A questa concezione si contrappone un turismo slow, basato su una ricettività familiare o pseudo-familiare. Questo tipo di gestione è più modulare ed elastica: ci si adatta al clima, è meno stagionale e include anche le destinazioni non caratterizzate dal turismo della neve. Al di là di queste considerazioni però è proprio la concezione del turista che è diversa: è un ospite che viene accolto da persone che conoscono bene quelle valli e che quindi possono accompagnarlo in percorsi di scoperta autentica del territorio. Viene così in contatto con una rete di prodotti e cultura locale e guidato al rispetto di ciò che trova: in questo modo porta a casa un’esperienza caratteristica e autentica.

Come si può rendere la montagna “un luogo di opportunità”?

Conservando la montagna il più possibile come luogo naturale: solo così potrà offrire prodotti che siano espressioni autentiche del territorio. Nella tipicità e nell’unicità sta a mio avviso il potenziale della montagna. Il consumatore, così come il turista, è sempre più attento alla qualità dei prodotti e all’autenticità delle esperienze e, per questo, è disposto a pagare di più. Se compra una toma o una fontina di montagna vuole che siano effettivamente prodotte nell’alpeggio poiché riconosce che la qualità e il sapore sono diversi. E questo vale anche per l’artigianato, penso ad esempio ad alcune produzioni dell’Alto Adige, autentiche ma innovative.

Ovviamente la montagna è un luogo di opportunità anche per il turismo purché sia slow e non un turismo che tende a cannibalizzare la montagna!

A questo proposito, cosa ne pensi dell’opportunità di coinvolgere maggiormente i turisti internazionali?

Ovviamente è fondamentale ma, e lo dico di nuovo, deve essere un turismo di qualità. Abbiamo tutti presente i voli charter che arrivano dall’Inghilterra e dalla Russia… Rispetto all’Italia, il turismo slow è più diffuso nei paesi del Nord Europa, in Germania e, ultimamente, anche nei paesi anglosassoni: è importante riuscire a coinvolgere questi turisti che possono diffondere un certo modo di approcciare la montagna.

Anche per quanto riguarda lo sport, ad esempio, a mio avviso, dovremmo orientarci di più verso uno sport autogestito, con un po’ d’iniziativa e avventura!

Abbiamo avviato insieme il progetto di internazionalizzazione delle strutture ricettive, perché sono importanti queste esperienze per le nostre montagne?

Le tre valli coinvolte presentano caratteristiche diverse: c’è la Valtournenche, che è stata sfruttata in modo totale ma che conserva alcuni angoli incontaminati da scoprire, la Valpelline, che è conservata benissimo e in cui è già attiva una collaborazione fra produttori e operatori del turismo e la Val Maira che, per ragioni storiche e demografiche, presenta un ambiente naturale e architettonico integro. Ognuna ha, per motivi diversi, grandi potenzialità dal punto di vista del turismo slow. Queste devono però essere comunicate in modo corretto per poter intercettare turisti sensibili a questa tematica. Infine, quasi nessuna delle strutture coinvolte avrebbe potuto da sola realizzare un progetto di questo tipo: facendo squadra e mettendosi in rete hanno la possibilità di proporre un prodotto più interessante e promuoverlo meglio!

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