Quando la televisione pubblica italiana prova a fare il suo mestiere diventiamo tutti giornalisti e autori, proprio come fino a poche settimane fa eravamo tutti commissari tecnici della Nazionale di calcio. E così Petrolio“, il programma di approfondimento di Rai1 condotto da Duilio Giammaria e andato in onda ieri sera con una puntata dedicata a musei e beni culturali (la prossima sarà sul turismo), ha sollecitato da subito riflessioni e commenti.

Spaccando come al solito il pubblico fra chi gridava al miracolo:

e chi storceva il naso, di fronte all’ennesima occasione perduta:

Comunque la si pensi, ci è parso in ogni caso meritorio il tentativo della Rai di portare al centro della discussione il tema della valorizzazione dei beni culturali italiani. E inevitabilmente, trattandosi di una televisione generalista, non ci si poteva aspettare approfondimenti di valenza rivoluzionaria né soluzioni immediate ai problemi.

Certo: il fatto che i musei debbano fare rete è risaputo, detto e ridetto e sicuramente Claudia Ferrazzi avrebbe avuto argomenti molto più interessanti da esporre al giornalista. Ma, da addetti ai lavori, dobbiamo sempre tenere ben presente l’esigenza di formazione e divulgazione: se a noi paiono scontate e risapute, a molti possono presentare per la prima volta un problema degno di riflessione.

Quello che ci ha incuriosito di “Petrolio”, tuttavia, non sono stati né gli argomenti trattati, né gli ospiti selezionati, nemmeno i casi esemplari analizzati. È stato il titolo. Già, perché freschi di lettura di “Turismo, cambiamo tutto” di Antonio Preiti, abbiamo notato come l’utilizzo del termine “petrolio” per riferirsi al patrimonio artistico e turistico italiano continua imperterrito a essere di gran moda nel giornalismo italiano.

E va invece tenuto ben presente quel che scrive Preiti nell’introduzione al suo interessante volume:

La metafora funziona perché nasce, per così dire, da un’analogia di consapevolezza. Così come i popoli arabi, a un certo punto della loro storia, hanno visto che il petrolio sotto i loro piedi era la fonte potenziale di ricchezza, così noi, improvvisamente colpiti dalla consapevolezza del valore della nostra arte, delle nostre spiagge, delle nostre montagne, possiamo fare lo stesso. Anzi, per noi è più facile, perché il petrolio è sotto terra, bisogna estrarlo, raffinarlo e distribuirlo, mentre la nostra cultura e il nostro paesaggio sono già pronti, visibili, perché non cogliere la rosa che già profuma, e non chiede altro che di essere colta? Un’altra ragione, questa più sottile, più insinuante e più nociva, è nascosta dentro le pieghe di un’altra analogia: non c’è bisogno di far nulla, o quanto meno, non c’è bisogno di pensiero, di imprenditoria, o di invenzione, perché è tutto pronto. Nell’immaginario collettivo per il petrolio è così: che ci vuole? il petrolio è dappertutto, si estrae e poi si vende, e fare una raffineria non è complicato. Dimenticano la politica, le guerre, le tecnologie: è tutto facile. Allo stesso modo funziona per cultura e turismo: che ci vuole? musei e spiagge stanno lì ben visibili, basta la consapevolezza e il gioco è fatto. Non ci vuole niente. Il fatto che basti la consapevolezza, come schiacciare un bottone, per far partire tutto l’insieme, è una delle peggiori idee che si sia insinuata nella mente della classe dirigente italiana. Di qui l’infinita veemenza sul fatto che abbiamo, come Paese, la più alta percentuale di patrimonio artistico della terra, e così via, di enfasi in enfasi, fino allo sfinimento. Se non c’è bisogno di nulla, allora la competenza specifica non serve: non bisogna essere chimici per sapere che il petrolio è “oro nero” (altra metafora che ci ossessiona come variante lessicale della prima), non bisogna sapere qualcosa d’industria dell’ospitalità, o di gestione dei musei, per sviluppare il settore. E’ tutto lì, in bella vista, come una buca da scavare o un quadro da esporre. (…) Allora occorre cambiare registro, almeno nelle parole: la cultura e il turismo non sono l’“oro nero” che nessuno coglie, per distrazione e incuria. Sono, invece, gli elementi costitutivi di un settore dell’economia dai contorni molto ben definiti, dove, per avere successo, si ha bisogno, come in altri campi, d’intelligenza applicata, di modelli d’impresa da provare, di coraggio da sperimentare.

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