Per la seconda volta in questa edizione, Presa Diretta ha dedicato una sua puntata al mondo della cultura. Se la prima volta (mi pare a dicembre 2011) si è parlato dello stato dei beni culturali in Italia, domenica 26/2/2012 il format ha invece concentrato l’attenzione sulla cultura in senso lato.
Un aspetto in particolare mi ha colpito e lega, a mio avviso, le due puntate tra loro. E’ un semplice assioma ben spiegato dal prof. Pier Luigi Sacco (Libera Università di Milano) secondo cui (mia parafrasi): – la mancanza di attenzione verso la tutela dei beni culturali (leggasi crolli di Pompei) – è dovuta all’assenza di una cultura “della cultura” (che porta a credere che il sistema cultura sia un costo/peso e non un motore di sviluppo e di economia) – che può essere risolta solo con la produzione di nuova cultura. Da tutela a produzione della cultura ne passa un bel pò.
Se la prima, infatti, mira a preservare l’eredità lasciataci dai nostri avi, la seconda punta a creare nuova eredità per i posteri. Ma dove sta il nesso per cui la tutela può essere sostenuta dalla produzione? Beh, secondo quanto dice Sacco, solo instillando nuovi stimoli culturali nei cittadini si può elevare la soglia di attenzione di questi nei confronti del patrimonio culturale. Ergo: riavviciniamo il cittadino alla cultura proponendone di nuova per fargli riscoprire quella “passata”.
La questione mi ha fatto pensare. I visitatori dei beni culturali nel 2010, secondo i rilevamenti MIBAC, sono stati complessivamente 37 milioni per un introito complessivo di 104 milioni di euro. Considerate che dei visitatori rilevati, il 58% non ha pagato alcun biglietto (perchè ha avuto accesso gratuito al bene o perchè il bene non prevede un biglietto d’ingresso). A spanne equivale a dire che potenzialmente il sistema dei beni culturali genera oggi 3 euro per ogni visitatore.
Ho quindi preso in esame i dati Eurostat secondo cui l’Italia si piazza tra gli ultimi posti della classifica europea per frequenza di visita nei beni culturali, davanti soltanto a Cipro, Malta, Grecia e Bulgaria. In pratica dall’indagine (che risale al 2006) emerge che solo 1 italiano su 5 ha visitato almeno un museo, un monumento, un sito archeologico o una mostra durante l’anno.
Se quindi confrontiamo i due dati (visitatori totali vs frequenza di visita degli italiani) si può dire, a stima (stiamtissima….), che gli italiani rappresentano il 30% dei visitatori complessivi dei beni culturali italiani. Tradotto. Il nostro patrimonio culturale è principalmente al servizio del pubblico straniero. Fin qui non ci sarebbe niente di male. Non foss’altro che, essendo in Italia, la spesa per mantenere il patrimonio culturale (e non sempre ci riusciamo al meglio) è ben superiore agli introiti che questo genera. E, pur non avendo a portata di mano dati certi, sono sicuro che anche l’economia generata dal pubblico straniero che visita i beni culturali (intendo le ricadute sul settore turismo) non pareggia il costo che il nostro paese sostiene per mantenerli. Come accade per l’istruzione universitaria, lo Stato paga anche e soprattutto per nutrire il benessere degli altri popoli. Oltre alla “fuga di cervelli” assistiamo anche allo “spionaggio culturale”. Sob.
Torniamo dunque all’assioma iniziale. La produzione di nuova cultura (attraverso cinema, musica, arte, danza, ecc.) genera inevitabilmente nuovo fermento culturale e quindi nuova attenzione alla cultura, quella cultura della cultura cui faccio riferimento nel titolo di questo post. La produzione di nuova cultura produce mille benefici. La produzione di nuova cultura genera educazione, innovazione, solidarietà, civilizzazione, identità. Quel che voglio aggiungere e asserire attraverso questo post è che la produzione di nuova cultura genera anche direttamente nuova economia. O meglio. Nuova economia che riguarda anche il patrimonio culturale. La produzione di nuova cultura genera nuovi visitatori del patrimonio culturale.
Se gli italiani si “riappropiano” del loro patrimonio culturale ne conseguono nuovi incassi derivanti dagli ingressi ai musei, alle mostre, ai monumenti, ai siti archeologici. Presa Diretta ieri confrontava i budget a disposizione dei ministeri dei beni culturali italiano e francese. Neanche a dirlo quello francese (oltre 7 miliardi di euro) non ha subito il ben che minimo taglio negli ultimi anni, nonostante la crisi. Il budget del Mibac (579 milioni di euro) equivale a meno del 10% di quello francese ed è stato sistematicamente tagliato negli ultimi 10 anni. Il mancato investimento nel settore culturale è un mancato investimento produttivo. Comunque la si voglia mettere. La mia è solo un’altra prospettiva riguardo a un tema di cui si è sempre discusso in Italia e su cui nessuna decisione illuminata è mai stata presa.