Playlist per un disastro annunciato
Ovvero: come la canzone italiana ha anticipato i vizi dei policy maker che si occupano di sviluppo turistico dei territori
La frustrazione del destination manager
Ciò di cui ho deciso di parlarvi è ciò che, personalmente (ma credo a molti altri che fanno il mio mestiere), genera maggiore frustrazione: il non essere messo nelle condizioni, spesso, di poter generare impatto e risultati sui territori in cui opero o vorrei operare. E, ancora più spesso, la mancanza di queste condizioni è dovuta ai policy maker di quei territori.
Il tempo e il denaro
Mettiamo sul tavolo la questione: la difficoltà che accomuna molte destinazioni è quella di riuscire a pensare in prospettiva, di progettare non dico nel lungo, ma almeno nel medio periodo. E non – o meglio: non è solo – un difetto di competenze o scarsa lungimiranza da parte dei policy maker. È piuttosto una risposta obbligata a una difficoltà contingente. Mi spiego meglio: in assenza di una prospettiva temporale ampia per l’elaborazione di una strategia – almeno a medio termine, appunto – è in qualche maniera istintivo l’atteggiamento “intanto cominciamo a fare qualcosa”.
E sono diverse le ragioni per cui questo accade. La principale, ahinoi, è che abbiamo a che fare con policy maker che non possono che ragionare facendo i conti con la durata del loro mandato e sulle risorse che in quel lasso di tempo – brevissimo, dal punto di vista di un destination manager – avranno a disposizione. E in quel brevissimo tempo a disposizione cosa fanno? Fanno da soli, prendendo decisioni affrettate, spesso scarsamente condivise, di corto respiro.
È un problema serio. Molto serio. Ed è per questo che ho pensato di affrontarlo in maniera più leggera del solito. Ma – attenzione – “leggero” non nel senso di “superficiale”. Perché – e qui cominciamo da una citazione altissima – “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore” (Italo Calvino, Lezioni americane).
Ho scelto cinque canzoni – più o meno note – i cui testi, in qualche modo, sembrano raccontarci quei vizi che molti policy maker mostrano quando si tratta di ragionare, almeno per quel che qui ci interessa, di turismo. Sono vizi che portano a gestioni come dicevo di corto respiro, poco efficienti. In poche parole: disastrose. Ho scelto la “leggerezza” di queste canzoni perché sono convinto che possa essere utile a tutti affidarci a questi piccoli “post-it” musicali, appiccicarli alla nostra lavagna mentale per saper riconoscere immediatamente quando ci troviamo a un passo da un disastro annunciato. E per sapere cosa fare, quando succede.
Un’altra foto col colombo in man
E allora cominciamo. Per puro campanilismo da un mio conterraneo.
Questa è la storia – tenera e tristissima allo stesso tempo – di questa coppia che va in gita a Venezia per poi poter raccontare alla cugina che a Venezia ci sono stati pure loro. E scattano questa foto con il “colombo in man” per dimostrarlo. Fuor di metafora: un vizio che riscontro spesso è l’idea del “facciamo così, lo fanno tutti, sarà una buona idea, no?”. Senza pensare a quello che sta intorno – e prima e dopo: alle risorse che si hanno a disposizione per farlo. A chi continuerà a farlo dopo di noi. Nella pratica: “facciamo un portale di destinazione”: bene, ma perché, a che scopo? E poi chi lo gestisce? E chi lo gestirà tra due anni? E tra cinque? ma quanti soldi hai per farlo e poi gestirlo? E quando ci troviamo di fronte a questo vizio, che fare? Occorre riportare la discussione su un piano strategico e, se una visione strategica non c’è, allora insistere perché si parta da lì. Piuttosto rinuncio all’incarico, per il bene della destinazione e della mia reputazione ed etica professionale.
Visione e pianificazione
Ma anche così non è sufficiente: quanti piani strategici sono rimasti nel cassetto, incompiuti, perché nel frattempo è cambiata un’amministrazione o non si è fatto i conti con le risorse necessarie per scaricarli a terra. Ecco perché mi sono convinto della necessità di slegare la strategia dal mandato amministrativo, pensare in termini di comunità. Ragionare in termini di partecipazione.
Da diverso tempo, quando siamo chiamati a lavorare al fianco dei territori e delle destinazioni per la definizione di una strategia, adottiamo un approccio partecipativo che coinvolga operatori e comunità locale e, con loro, facciamo emergere una visione condivisa, di lungo periodo. In questo modo la strategia appartiene alla destinazione, è espressione di una collettività che oltrepassa i limiti temporali imposti dai mandati dei singoli amministratori. La destinazione diventa garante e protagonista della visione strategica di sviluppo e non ci si riduce a fare “la foto con il colombo in man” e poi lasciarla ingiallire in qualche cassetto…
Ma con l’orchestra non si può sbagliare
E così ci siamo già inoltrati nel secondo punto di questa presentazione. Ma sentiamolo dalla voce di quel geniaccio di Enzo Jannacci.
Già: l’orchestra. Ma qui è un’orchestra un po’ particolare. Un po’ anarchica, per così dire: viaggia in ritardo, i sassofoni vanno per la loro strada, chissà cos’altro succede là dietro, dove stanno le percussioni… E però: quei “pirla” che continuano a suonare, chi sono? Già… noi destination manager ci troviamo a volte costretti – come dei pirla, appunto – a dover rincorrere operatori che vanno per la loro strada, amministratori che stanno quattro misure dopo… Il vizio è sempre lo stesso: si agisce senza prima aver pensato, in una sorta di improvvisazione che – a differenza di quel che succede per la musica, certe volte – porta mai a risultati positivi. La soluzione? Di nuovo: avere una visione, una strategia. Ma non basta: Serve affidarne l’implementazione a un organismo che abbia libertà e possibilità di muoversi con autonomia, di risorse prima di tutto.
La destinazione è partecipazione
Una destinazione, lo sappiamo, è un sistema organizzato. L’organizzazione presuppone un governo, una regia. La complessità di una destinazione non può che essere governata e gestita da un organismo collegiale e partecipato, indipendente dagli interessi dei singoli. O meglio: che sappia farne sintesi. Sappiamo che esistono diverse forme di governance, ma io mi sono convinto che quella pubblico-privata è l’unica in grado di garantire sostenibilità ed equilibrio nel lungo periodo. È vero che la legge Madia del 2016 ha limitato la possibilità per le pubbliche amministrazioni di costituire società partecipate, ma gli spazi e gli strumenti ci sono. Un modello tra i tanti: le fondazioni di comunità. Ma al di là della forma: Non può esservi destinazione senza governance. Non può esserci musica senza orchestra.
Alcune regioni (il Veneto con le Organizzazioni di Gestione della Destinazione e la Toscana con gli Ambiti Turistici Omogenei) hanno provato a “istituzionalizzare” questa esigenza, con risultati alterni. Il principio, a mio avviso, è giusto (e guarda caso viene applicato in due regioni tra le più mature da un punto di vista turistico), perché stimola e induce i territori a ragionare in termini sistemici e collaborativi. Quello che ora andrebbe fatto è insistere perché questi territori adottino modelli di governance che li rendano indipendenti dalle risorse regionali.
Una melodia sdentata
Già, le risorse economiche. Eccoci arrivati a uno dei problemi più evidenti e frequenti.
Qui Vinicio Capossela è ottimista: “di un limite faremo / una possibilità”. Ma si vede che il buon Vinicio non ha mai avuto a che fare con i policy maker che si occupano di turismo. Perché un altro loro vizio è quello di non commisurare gli obiettivi alle risorse. Quello di porsi obiettivi troppo ambiziosi per le limitate risorse a disposizione. O ancora: porsi obiettivi cercando di raggiungerli con budget spesso correlati a finanziamenti estemporanei, non prevedibili, forse non replicabili.
Programmazione economica
E allora, di nuovo: quello che serve è una visione prospettica da affidare a un organismo di governance che sappia sollecitare e gestire le risorse necessarie dagli stakeholder. Per chiarire la questione mi affido ad un esempio a me vicino: il territorio di Langhe, Roero e Monferrato, destinazione mondiale per il food&wine, patrimonio UNESCO da esattamente 10 anni. Questo territorio basa la gestione della sua strategia turistica sull’azione di una ATL pubbico/privata, che vanta come soci comuni e operatori e può contare su budget costituito da quote dei soci, a cui si aggiungono il finanziamento regionale e, cosa ancora più importante altre risorse come quelle provenienti dal GAL (di cui l’ATL è socio e vanta un membro nel cda) o dall’associazione che si occupa della valorizzazione del sito UNESCO (la cui direzione è stata accentrata proprio all’ATL).
Insomma: una strategia finanziaria lungimirante, che non basa la sussistenza della destinazione su un solo tipo di finanziamento o sulla sorte di accedere o meno a bandi o contributi che un anno ci sono, quello dopo pure, ma il terzo: chi lo sa…? E, soprattutto, un modello che tende a far convergere l’operato e le risorse delle diverse istituzioni su una visione e obiettivi comuni, anche nell’ottica di ottimizzare e rendere efficienti i processi ed efficaci le decisioni. Perché le risorse, si sa, non sono illimitate.
È una favola, è solo fantasia
“Di un limite faremo una possibilità” diceva prima Vinicio Capossela… Parto da qui per introdurre il quarto concetto e la quarta canzone della mia playlist. Proviamo a ribaltare il concetto: “Di un eccesso faremo una condanna”.
Forse lo spiega meglio Edoardo Bennato.
Eccola: l’isola che non c’è. Cosa voglio dire? Che ci sono territori che hanno, nella percezione dei loro amministratori, un “eccesso di bellezza”. Ovvero: hanno tutto: il paesaggio, la cultura, l’enogastronomia, il mare e la montagna… e allora la tentazione è di “vendere” il tutto come una sorta di “isola che non c’è”. Ben inteso: io credo che ogni territorio abbia la possibilità di diventare una destinazione turistica. Purché sappia individuare il suo posto nel mercato. Eccolo il grande assente sin qui: il mercato. Tutto quello che ho detto sino ad ora funziona, può funzionare, nel lungo periodo, solo a condizione che si raggiungano dei risultati, che si generi impatto positivo. E buona parte di questi risultati dipendono dalla capacità di dialogare con il mercato, di rendere la destinazione attrattiva per una parte della domanda. Ma, ancora una volta, i policy maker non sono quasi mai attrezzati per ragionare in ottica di mercato. Tendono a pensare che basti promuovere un attrattore o organizzare un evento per attrarre turisti. O, peggio, fare un portale turistico.
Identità e realismo
Ed è qui che noi destination manager dobbiamo avere la capacità di fermarci, di non fare quel passo verso il disastro a cui accennavo prima. Dobbiamo tornare alle “basi”: dobbiamo rispolverare il caro, vecchio concetto della USP, per noi del settore Unique Destination Proposition. Che, tradotto, significa fare delle scelte, di marketing, nette. Possibilmente giuste. Ma l’importante è puntare su poche cose, su quegli elementi identitari e distintivi che possono garantire un posizionamento chiaro sul mercato, che possono avere un significato per un segmento di domanda, sia esso anche una nicchia.
Perché, come detto, le risorse sono poche. Occorre saperle indirizzare con l’obiettivo di generare un ritorno: di prenotazioni, di arrivi, di presenze, di distribuzione dei flussi nel corso dell’anno, di valore aggiunto generato, di riduzione di impatto sul territorio e sulla comunità. Solo così si garantirà sostenibilità all’intero processo.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Andiamo alla conclusione. Abbiamo passato in rassegna alcuni “vizi” dei policy maker: l’incapacità di ragionare in termini di medio/lungo periodo; la pretesa di fare da soli; l’imprudenza di immaginare progetti senza risorse per realizzarli; l’illusione di vivere nell’isola che non c’è. Ma adesso tocca a noi.
Prendiamoci un po’ in giro, insomma. Ci siamo già dati del “pirla” poco fa, quindi non esageriamo… Però una cosa dobbiamo dircela: rimettiamoci in gioco. Ripensiamo il nostro ruolo, o meglio: cerchiamo di sentire la necessità di fare quest’opera di formazione nei confronti dei policy maker. Troviamo il coraggio per fermarli prima di fare tutti insieme quel passo verso il disastro. Nel corso di questa edizione di Destinaton Lab si è parlato molto – tra le altre cose – di digitalizzazione e intelligenza artificiale. Ma mi è venuto un dubbio, pensando alla quotidianità del mio lavoro: siamo sicuri che tutte le destinazioni siano pronte ad accogliere i temi della digitalizzazione, dell’intelligenza artificiale? O forse dobbiamo ancora lavorare, in molti casi, con i piedi per terra? Forse, davvero, dobbiamo ritrovare l’umiltà di essere facilitatori, prima ancora che manager.
Se davvero conosciamo le leggi del mondo, allora facciamone dono: ne va del futuro del turismo nel nostro paese e – pragmaticamente – del nostro mestiere. Perché davvero abbiamo una grande opportunità: (complice anche il ritardo con cui si è fatto strada il destination management in Italia, rispetto ad altri paesi competitor) sono molti, per fortuna, i territori che hanno l’ambizione di rendersi destinazione o di svilupparsi come tale. Per la fortuna, anche, del sistema turistico del nostro paese, che di fronte ai temi dell’overtourism ha la possibilità di poter contare su nuovi territori e nuove idee che si affacciano sul mercato.
Noi possiamo e dobbiamo aiutarli, ma con senso di responsabilità. Con buonsenso, diciamo: i territori sono diversi fra loro, alcuni sono già pronti, altri meno. Ogni territorio ha un “grado di maturità” diverso, che noi dobbiamo saper leggere per indirizzarli a seguire un percorso sostenibile verso la loro – legittima – ambizione. Per questo ci siamo convinti, da alcuni mesi, ad investire nello sviluppo di uno strumento di AUDIT che permette di scattare una fotografia del livello di organizzazione della destinazione e di misurarla in termini di maturità. La finalità dello strumento è di orientare e indirizzare le scelte dei policy maker anche allo scopo di evitare che si commettano ancora gli errori di cui vi ho parlato. È uno strumento di ascolto e di indirizzo (e non di certificazione, ce ne sono già abbastanza) che stiamo sviluppando insieme ad alcuni partner e che volentieri siamo disponibili a condividere con altri che, come noi, ritengono prioritari i temi della governance e della strategia. Lo lanceremo nel prossimo autunno e l’invito, a policy maker e destination manager, è di utilizzarlo e di diffonderlo.
Anche perché, seppur banalissima, vale la metafora dell’orchestra, di cui i destination manager sono direttori. E per dirigerla dobbiamo imparare ad “ascoltare” i territori. E per farlo ci vuole orecchio…
Destination Lab
Lo scorso 17 maggio Enrico Ferrero – AD di Ideazione – ha tenuto questo speech nel corso di Destination Lab, la giornata di studio sul futuro delle destinazioni turistiche, organizzato da Teamwork Hospitality a Riva del Garda. Questo è il testo del suo intervento.