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Una moda? L’ennesima conseguenza dell’imprenditoria di necessità (e non di opportunità)? Oppure siamo di fronte a una nuova presa di coscienza e a una reale volontà di recuperare mestieri e saperi della tradizione?


Sono ormai moltissimi gli esempi di professionisti, più o meno giovani, che “mollano tutto” per trasferirsi in campagna per costruirsi una nuova professionalità e insieme una nuova vita. Il quotidiano “La Stampa” vi ha dedicato una serie di ritratti: dalla famiglia di ingegneri usciti dal Politecnico di Torino per aprire un agriturismo in Valle Varaita alla segretaria d’azienda che ha preferito una stalla valdostana all’ufficio, fino alla scenografa di Cinecittà che ha abbandonato Roma per un caseificio a Nizza Monferrato.

Ma basta un giro su Internet per imbattersi in decine di esperienze del genere: il dentista che oggi produce Vetiver, una pianta erbacea che viene utilizzata in ingegneria verde come strumento per il consolidamento e la conservazione del suolo, il futuro broker che oggi gestisce agricolonie, cioè veri e propri campi scuola in campagna, l’avvocatessa che dopo aver intrapreso gli studi per diventare notaio ha deciso di produrre manna, straordinario dolcificante naturale a basso contenuto di glucosio e fruttosio.

Giovani pronti a fare gli agricoltori

Qualunque sia la motitivazione, una cosa è certa: il “vado a vivere in campagna” non è più lo stanco ritornello sanremese, ma un fenomeno tangibile nella società italiana (e non solo). Lo ha certificato anche “I giovani e la crisi”, la ricerca commissionata da Coldiretti alla Swg e diffusa alla vigilia della presentazione del piano giovani del Governo: sono oltre 59mila le aziende under 30 iscritte alla Camera di commercio, di cui il 70% orientate all’innovazione e alla multifunzionalità, dall’agriturismo alle fattorie didattiche.

E soprattutto: sempre secondo la ricerca Coldiretti/Swg il 42% dei giovani si dichiara pronto a fare l’agricoltore se avesse il terreno. Ma ecco il problema: terra e credito sono i principali fattori di freno tanto che il 65% dei giovani – ha sottolineato il delegato dei giovani Coldiretti, Vittorio Sangiorgio – lamenta la difficoltà di accesso al credito, mentre il 67% ritiene necessari strumenti di finanziamento agevolato”.

La Banca della Terra

Un aiuto – apripista, ci si augura – arriva dalla Regione Toscana, che ha da poco avviato il progetto “Banca della terra”, un progetto pensato per censire le migliaia di ettari di campi lasciati a gerbido o in pasto ai rovi (pubblici e privati) per metterli poi a disposizione a canoni concordati e con sussidi ai tanti agricoltori senza terreni da coltivare. Un modo non solo per creare posti di lavoro, ma anche di “incrementare i livelli di sicurezza idraulica e idrogeologica del territorio”, come ha spiegato l’assessore all’agricoltura Gianni Salvadori, uno dei promotori della Banca.

La Toscana si è mossa unendo le forze di tutte le istituzioni locali e, una volta scattata la fotografia del patrimonio a disposizione, la banca provvederà all’assegnazione, con priorità ai coltivatori diretti più giovani. In caso di campi di privati, il prezzo potrà pure essere negoziato tra le parti. Il risultato sarà doppio: da una parte si rimetteranno in attività aree rimaste improduttive a volte per decenni. Dall’altra si creeranno posti di lavoro e si curerà di più senza troppa spesa pubblica la stabilità dei terreni. Fatto che in un paese con i guai idrogeologici dell’Italia non è certo un male.

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