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Ne abbiamo scritto anche su questo blog, a più riprese: i giovani vogliono tornare alla terra perché hanno riconosciuto nell’agroalimentare un settore in espansione, in grado di generare reddito. Ci abbiamo scommesso con ReStartApp, l’iniziativa che ci ha visti al fianco della Fondazione Edoardo Garrone per rivitalizzare i territori appenninici passando appunto attraverso il ritorno alle produzioni tradizionali. E ne è sicuro anche il governo, che proprio in questi giorni ha avviato il programma “Terre Vive“, con la vendita di terreni demaniali con priorità agli under 40.

Poi, però, viene fuori una ricerca realizzata da Nomisma – in collaborazione con Cattolica Assicurazioni, Federunacoma e l’Informatore Agrario – presentata a EIMA 2014, che rimette tutto in discussione. Già, perché le pagine di “Giovani in agricoltura, risorse per il Paese” raccontano una realtà ben diversa. La domanda alla base della ricerca – “È vero che in questo momento di difficoltà l’anticiclicità del sistema agroalimentare può contribuire a frenare la crescita del tasso di disoccupazione giovanile?” – riceve risposte contraddittorie, ma che in generale sembrano descrivere il “green dream” come una moda passeggera, se non addirittura una bolla mediatica.

Ecco qualche dato (*): gli agricoltori italiani con meno di 35 anni sono circa 82.000, il 5,1% del totale agricoltori, mentre coloro che hanno più di 65 anni (età in cui in altri settori ci si ritira dal lavoro) sono 603.390, pari al 37,2%. Questa struttura demografica non trova eguali tra i principali competitor europei: la quota degli under 35 sul totale agricoltori è pari al 5,3% in Spagna, al 7,1% in Germania e all’8,7% in Francia (la media UE-27 è 7,5%); di contro, il peso degli over 65 sul totale degli agricoltori è appena del 12% in Francia mentre in Germania si attesta al 5,3%.

Nel complesso, i 161.716 giovani (sotto i 35 anni) agricoltori italiani rappresentano a oggi solo il 10% del tessuto agricolo nazionale. E le prospettive non sembrano incoraggianti: in base alle interviste su 518 giovani non agricoltori in cerca di prima occupazione, a possibili occupazioni nel comparto agroalimentare vengono preferite le libere professioni e il settore pubblico – solo l’1,7% del campione vorrebbe “lavorare all’aria aperta”.

E allora? Davvero è stato un clamoroso abbaglio generale? Davvero, come scrive Wired, ci siamo fatti ingannare dalla “retorica ultragreen”?. Forse, ma continuiamo a pensare che davvero l’agroalimentare sia una risorsa strategica per il Paese – sia in termini di prodotto interno, sia di sbocco occupazionale – e soprattutto per il Paese che abiteremo domani. Siamo d’accordo con il Ministro dell’agricoltura Martina quando invita gli addetti ai lavori a “uscire da un gap che relega l’agricoltura a bene di rifugio per raccontare i casi di eccellenza e testimoniare le opportunità di redddito”.

Certo: non basterà certo un buono storytelling per riportare i giovani all’agricoltura. Serviranno risorse – e una buona notizia è la previsione nella PAC 2014-2020 di un aiuto obbligatorio per gli agricoltori under 40, con un incremento del 25% di risorse a loro destinate – e iniziative forti – il progetto “Terre Vive” va in questa direzione, anche se in molti gridano alla truffa.

Noi rimaniamo comunque d’accordo con il senso delle parole del Ministro (a patto, di nuovo, di non farne una mera operazione pubblicitaria…). Tanto che non solo lo raccontiamo, ma lo facciamo ogni giorno: perché tra le decine di aziende agricole che aiutiamo nella loro promozione (ad esempio all’estero, con la partecipazione alle principali fiere del comparto vitivinicolo) sono moltissime quelle guidate da giovani, così come continuiamo a scommettere su giovani imprenditori del settore (dal Piemonte alla Sicilia).

(*) Fonte: Corriere della Sera

Ph: https://www.flickr.com/photos/sahdblunders/

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